Nicolina Dragonetto

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Gocce di Cultura - Agosto 2008

Avevo letto sul giornale di questa iniziativa dell’Unione dei Circoli Culturali Sloveni, credevo fosse riservata alla minoranza slovena di Gorizia e non ci pensai più.
Invece, qualche giorno dopo, ricevetti una telefonata dalla Presidente del Circolo, che mi chiedeva di partecipare e leggere un pezzo di “Invernodalupo”.
Dopo una iniziale titubanza, accettai.
Non è facile estrapolare un pezzo da un libro, deve avere un inizio ed una fine, non essere troppo lungo né troppo corto, deve creare interesse e curiosità per il prima ed il dopo, non è facile leggere davanti a tante persone (sono timida per certe cose).
Alla fine trovai il pezzo che poteva andare bene. (si può leggere più sotto).
Avrei dovuto leggere nella seconda serata della manifestazione; per rendermi conto di cosa si trattava, andai a vedere la prima serata; era una cosa estremamente carina, sul “palco”, allestito in mezzo a due secolari platani nella parte centrale dei Giardini Pubblici, si susseguivano diversi artisti, alcuni improvvisati, altri professionisti.
Complice la bella serata estiva, la varietà delle proposte e la bravura dei partecipanti, l’ora di spettacolo volò.
La sera dopo mi sentivo agitata, quando la ragazza che accompagnava gli artisti mi venne a chiamare, avrei voluto non essere lì, invece la voce non tremò e lessi il mio brano con sicurezza e con le giuste pause ed intonazioni.
Alla fine ricevetti un lungo applauso e molte persone mi avvicinarono per chiedermi dove potessero acquistare “Invernodalupo”.
Ero contenta e pensavo fosse finita lì.
La Presidente mi telefonò nuovamente il giorno dopo:
“La gente intervenuta mi ha chiesto se lei poteva leggere ancora qualche brano.”
Lessi un brano del mio secondo romanzo, ancora inedito e di nuovo ebbi la soddisfazione di vedere l’attenzione del pubblico e di ricevere un altro caloroso applauso.
(questo brano non si può ancora leggere, il romanzo è in fase di pubblicazione).

“INVERNODALUPO”
...in fondo all’anima i ricordi ci sono tutti...

Capitolo 14 - da pag. 102 a pag. 108
( eliminato alcuni passaggi)

Salvò la conversazione e la rilesse, non gli sembrava ancora vero.
Gli era passata la stanchezza, non aveva sonno. Erano quasi le due.
Chiuse tutto ed andò a dormire.
Era sdraiato sul letto, teneva gli occhi chiusi e pensava a Lucia, alle parole che si erano scritti all’emozione che aveva provato ed a quello che provava ora.
Si sentiva un adolescente, le stesse sensazioni, lo stesso rimescolio allo stomaco, gli stessi desideri e le stesse reazioni fisiche.
E’ proprio vero che l’amore non ha età!
Dentro di lui, dopo la morte della moglie, era sceso il gelo.
Non aveva avuto più desideri, non aveva più avuto aspirazioni, non aveva più avuto speranze.
Aveva lasciato  che la vita gli scivolasse addosso.
Era e si sentiva solo.
Se qualcuno gli avesse detto che si sarebbe innamorato di nuovo, che si sarebbe sentito vivo di nuovo, che avrebbe desiderato una donna di nuovo, gli avrebbe risposto che era matto, che queste cose accadono solo nei romanzi.
Che la vita reale non è così!
Eh no, la vita reale è meglio dei romanzi, dietro ogni angolo soffia un vento nuovo e lui ne era stato investito in pieno.
Basta avere il coraggio di non chiudere le porte all’amore, basta avere il coraggio di prendere quel treno che si ferma per un attimo, basta avere il coraggio di continuare a vivere.
Non riusciva ad addormentarsi e nemmeno lo voleva.
Si alzò, aprì il balcone, faceva freddo, si mise la vestaglia, accese una sigaretta ed andò in terrazzo.
C’era una splendida luna piena e c’era Giove in congiunzione con lei, anche noi due siamo in congiunzione, pensò. Il mare era piatto davanti a lui e luminoso, gli trasmetteva serenità, guardò di nuovo in alto, si vedevano le costellazioni, ne riconobbe alcune, di altre non ricordava i nomi.
Nel suo cielo ci sono altre stelle, ma la Luna è la stessa.
Ritornò a letto e si addormentò.
Sognò di coccinelle colorate. Sognò prati verdi e laghi azzurri e boschi di abeti. Sognò se stesso in riva al mare, sognò la spiaggia di sabbia chiara, sognò orme di piedi di donna accanto alle sue.
Alle sette e trenta si svegliò, sbirciò attraverso le fessure delle tapparelle e vide che la giornata era bella, si sentiva felice.
Si fece la doccia, si rasò, si vestì ed andò a fare colazione.
Fece una breve passeggiata fumando la prima sigaretta della giornata.
I suoi passi lo riportarono in albergo. Accese il computer, si collegò al sito e le scrisse una mail.

OMISSIS

Aprì un motore di ricerca, cercò Còrdoba-Argentina ed entrò nel sito della città.
Trovò l’Ambasciata Italiana, trovò l’Università con i corsi di lingua italiana.
Era entrato nel suo mondo.
Guardò le previsioni del tempo, le temperature della giornata.
Guardò le foto delle piazze, delle vie, dei parchi, dell’Orto botanico.
Erano già quasi le undici.
Chiuse tutto ed uscì.
Decise di andare a visitare i cortili ed i giardini di Palazzo Reale, quelli che non era riuscito a vedere qualche sera prima. Voleva circondarsi di bellezza, di natura, voleva trovare pace e silenzio per i suoi pensieri, voleva poter sognare ad occhi aperti, voleva poter immaginare un possibile futuro, voleva, voleva.
Entrò e si diresse verso il terrazzo con i giardini pensili, guardò i rosai rampicanti, le aiuole a prato delimitate da muretti bassi, percorse il tratto lastricato e si affacciò alla balaustra, guardò verso il mare.
Alla sua sinistra si ergeva maestoso il Maschio Angioino, prima di andarmene vorrei rivederlo, pensò.
La giornata era splendente di sole e di luce e lui si sentiva come quella giornata.
Oltre quel mare, oltre Gibilterra, oltre quell’oceano, oltre ed ancora più ad ovest, oltre ed ancora più a sud, oltre, c’era l’Argentina, oltre, c’era Còrdoba,  lì c’era la sua Lucia, lontana, lontana, ma vicina a lui, come da tanto tempo non sentiva nessuno così vicino.
Si faceva cullare da questi pensieri e sorrideva.
Magicamente non incontrò nessuno.
Gli sembrava di essere in un luogo incantato,  un luogo tutto suo e si aspettava, in ogni momento, di vederla comparire accanto a lui, come un dono.
Da lontano sentì il vociare di bambini e si riscosse dai suoi pensieri. Guardò l’ora, gli venne fame all’improvviso. Non voleva ancora andarsene, si accese una sigaretta, rimase a fumarla affacciato alla balaustra guardando ad ovest.
Cercò la trattoria dove aveva mangiato la pasta con le vongole. Entrò e la ordinò di nuovo.
Aveva passato una splendida mattinata.
Era ancora presto, si fermò in un bar, si sedette ad un tavolino all’aperto, ordinò una coca, lesse il giornale e fumò un’altra sigaretta.
Dovrei smettere, pensò, Lucia non fuma, forse le da fastidio.
Tornò in albergo, spalancò il balcone, fece entrare il sole e l’aria che sapeva di mare, accese il computer, si collegò ad internet ed al sito. Aprì la pagina di Lucia.
Non c’era ancora e non aveva ancora letto la sua mail.
Chissà se verrà?
Riaprì la pagina di Còrdoba e continuò il suo giro turistico per la città.
Era abituato alle grandi città, ma non riusciva ancora ad abituarsi ai disagi delle grandi città, non riusciva ad abituarsi alle troppe persone che ti stringono per le strade, ai troppi rumori, al troppo smog, al troppo tutto.
Amava la sua piccola Gorizia, il suo Corso con gli ampi viali pedonali ai lati, i suoi giardini, il castello che la dominava dall’alto, il fiume che scorreva ora placido ora turbolento, la sua pace alla sera ed il silenzio delle sue notti.
Lucia non era ancora arrivata.
Aprì il suo profilo e guardò le sue statistiche, aveva ricevuto molte visite e molti uomini avevano “sbandato” per lei.
Aveva già guardato quei dati e già aveva sentito una punta di gelosia, la sentì nuovamente, era geloso.
Mi telefonò e mi raccontò le cose che erano successe la notte appena trascorsa, di come avevano scoperto di essere innamorati, dell’emozione che aveva provato, dell’amore che sentiva per questa donna quasi sconosciuta, del piccolo ciondolo di ametista che le aveva comperato, di tutte le cose che sperava si avverassero, mi parlò del futuro ed al futuro.
Ne fui contenta, per lui e per la donna argentina, per loro due che si erano innamorati senza conoscersi, solo scrivendosi, come accadeva secoli fa.